O partigiano portali via

Grande, grandissimo, festoso, tantissime ragazze e tantissimi ragazzi, bambine e bambini, anche. Milanesi, certo, ma anche gruppi arrivati da altre città, «proviamo a andare avanti», dice un giovanissimo siciliano uscito dalla metropolitana al gruppetto con cui è arrivato. Andare avanti non è facile, il corteo che sfila su corso Venezia è fittissimo, riempie la strada da una parte all’altra e chi arriva fa fatica a infilarsi nel flusso lungo e largo. Musica dai sound system dei camion, musica di bande arrivate con i loro strumenti, Bella ciao, hip hop, echi sanremesi, anche. Si balla, si canta. E c’è il sole. Un benaugurante sole.

UNA MANIFESTAZIONE allegra e vivace, composta. E grandissima. Centomila, dicono dal palco. Difficile dare una cifra precisa, le persone continuano a arrivare, a sbucare dalla metropolitana, lo spezzone più indietro del corteo resta fermo per ore e quando arriva in piazza Duomo non solo sono già finiti gli interventi dal palco ma il palco lo stanno proprio già smontando. È una festa della Liberazione libera, felice e con una grande partecipazione civile che non lascia spazio a polemiche che inevitabilmente qualcuno tenta di montare ma senza veri appigli.

TANTISSIMI gli striscioni che restano anche appiccicati tra loro tante sono le realtà, partiti, associazioni, sindacati, vertenze, comunità di migranti che hanno voluto esserci. Contro il governo più a destra della storia della repubblica, per scongiurare che anche l’Europa vada ancora più a destra. Contro manganelli e censure. Per il lavoro, i diritti, la salute, la scuola, contro la fortezza Europa che esclude i migranti, «No borders», dice uno striscione, «free Assange», un altro subito dopo. Striscioni e cartelli di tutte le dimensioni. «Fasci e infami fanno il fritto misto», «Ilaria libera», cioè Ilaria Salis, citatissima in tutta la manifestazione. «Gaza chiama Lecco risponde».

QUANDO IL CORTEO è ancora incastrato al punto di partenza, e la gente continua ad affluire, davanti allo striscione della federazione milanese del Pd compare Elly Schlein. Insieme a lei ci sono la capogruppo alla camera Chiara Braga, il deputato Alessandro Zan, il sindaco di Bergamo (e candidato alle europee) Giorgio Gori, il capo delegazione dem a Briuxelles Brando Benifei, il milanese membro della segreteria Pierfrancesco Majorino, Orlando, Cuperlo, Chiara Gribaudo, Emanuele Fiano con fazzoletto della Brigata ebraica. La segretaria Pd saluta «la festa della Liberazione e di tutta la Repubblica, che è la festa in cui si ricorda chi ha costruito le basi per la democrazia e per la libertà». Poi esprime la necessità che «si rinnovi l’impegno della lotta per la difesa della nostra Costituzione e per la sua piena attuazione». La manifestazione si muove a fatica, Schlein stringe mani e saluta la sua gente. Una donna si avvicina e le urla: «Devi cacciare un sacco di gente dal tuo partito». Ne nasce una discussione accesa con un’altra manifestante. Molti sostenitori di Schlein cercano di ricomporre la faccenda senza tanto clamore: «Ha solo espresso un’opinione». Schlein si defila in compagnia di Cecilia Strada, anche lei candidata al voto di giugno. Dopo il Pd, a ranghi ridotti, si dispone la delegazione dei 5 Stelle, con lo striscione «Resistenza, libertà e partecipazione in difesa della Costituzione». In prima fila si palesa Gaetano Pedullà, direttore della Notizia e candidato alle europee. Giuseppe Conte è rimasto a Roma, in mattinata ha visto una mostra su donne e Resistenza: «Non abbassiamo la guardia», dice il leader M5S.

SEGUE IL CAMION di Alleanza Verdi Sinistra, che caratterizza la sua presenza in piazza col sostegno a Ilaria Salis. Nicola Fratoianni saluta la «grande manifestazione, anche grazie all’appello del manifesto» e riflette: «Nel nostro paese abbiamo esponenti del governo che fanno ancora fatica a dire una parola semplice: ‘Sono antifascista’. Quella parola, peraltro, che consente loro di stare lì al governo. È incredibile se ci si pensa. Ma bisognerebbe dire esattamente ciò che va detto: che l’antifascismo è la religione civile di questo Paese, che ha fondato la Repubblica, che ha dato libertà. E che essere antifascisti oggi vuol dire continuare a battersi e non fare solo memoria per la libertà e per i diritti di tutti e tutte».

POI LO SPEZZONE di Rifondazione e il grande striscione con il marchio della lista «Pace Terra Dignità». Maurizio Acerbo è reduce dalla maratona di queste settimane per la raccolta delle firme per esserci alle europee. «Il traguardo è a un passo – racconta mentre si precipita in piazza Duomo per i comizi finali – ci serve uno a sforzo ulteriore in Sicilia e Sardegna». Più avanti, dalle parti del drappello con le insegne della Brigata ebraica scortato dai volontari per i decoro urbano dei City Angels, si nota la presenza di Carlo Calenda.

QUANDO SI APRONO i comizi a piazza Duomo, il corteo è appena partito. «Siamo più di 100 mila» scandiscono dal palco. C’è qualche fischio ma da lì non si sentono e la liturgia del comizio prosegue senza intoppi. «Due o trecento persone che protestano non sporcano una manifestazione con centomila persone», dice Primo Minelli, il presidente dell’Anpi Milano. Nel saluto di apertura Minelli è accorto nel gridare «cessate il fuoco ovunque, basta con le sofferenze dell’Ucraina e i massacri in Palestina, ritornino a casa gli ostaggi del 7 ottobre» e spegnere le polemiche che hanno accompagnato la vigilia del corteo. Anche il sindaco Beppe Sala parla di «bilancio che non può che essere largamente positivo». «Innanzitutto vorrei ringraziare il manifesto – dice il sindaco – avete fatto una cosa straordinaria al momento giusto». Poi ribadisce: «Piazza Duomo erano anni che non si vedeva così piena e questa piazza non può essere sporcata dalla contestazione, Milano dice che la Costituzione non può essere toccata, questa città è la barriera morale contro cui si infrangerà ogni progetto di stravolgimento della democrazia».

Poi Sala chiama sul palco Antonio Scurati. Mentre vi parlo festeggiamo perché questa è la festa della Liberazione che è liberazione dal nazifascismo», ribadisce lo scrittore al termine del suo noto monologo censurato dalla Rai. Parla pure Pif, davanti a una piazza all’inizio diffidente, poi conquistata quando elenca le più diffuse bufale sul fascismo e sul duce «che ha fatto anche cose buone». «In un Paese normale festeggeremmo, oggi invece bisogna ricordare – ha detto il regista siciliano – alcune persone hanno paura di dichiararsi antifasciste perché non lo sono culturalmente». Si alternano poi gli interventi del presidente nazionale dell’Aned Dario Venegoni, del professor Andrea Ricciardi della Fiap e di Debora Migliucci dell’Archivio storico del lavoro. Per i sindacati, che a Milano fanno a turno ogni anno, interviene la Uil. «La Liberazione – ricorda il segretario organizzativo, Emanuele Ronzoni – va celebrata per rendere effettivi e concreti gli ideali e i diritti delle persone. Oggi alcuni provvedimenti non fanno altro che accentuare i divari, la povertà e le disuguaglianze sociali e territoriali».

ANCHE IL PRESIDENTE Anpi, Gianfranco Pagliarulo, esordisce ringraziando il manifesto per l’invito alla partecipazione. «Se oggi siamo 100mila è anche per l’appello del manifesto che, come 30 anni fa, ha contribuito a mobilitare le persone». Il presidente Anpi torna poi sulle riforme volute dal governo: «Se si consegna tutto il potere a una sola persona e, se si frantuma l’Italia in tante Regioni concorrenti, salta la Costituzione del 1948 e si lacera la natura una e indivisibile della Repubblica». Alle poche contestazioni dei gruppi filo palestinesi in piazza Pagliarulo risponde: «Non bastano 35 mila morti, bambini, donne, giornalisti, medici, operatori dell’Onu? Se Netanyahu attacca in forze Rafah può avvenire un massacro di dimensioni inaudite». E a scanso di ricostruzione equivoche aggiunge: «È troppo chiedere ad Hamas di liberare gli ostaggi? Forse qualcuno non lo ha ancora capito ma non abbiamo dimenticato l’orrenda carneficina del 7 ottobre».

SALGONO SUL PALCO i musicisti e i cantanti della Scala per eseguire Bella Ciao. La manifestazione finisce e gran parte del corteo non è riuscita a raggiungere piazza Duomo. «Ricorderemo per anni questa manifestazione: Viva la Repubblica antifascista! Viva la Resistenza! Arrivederci alle prossime battaglie per difendere la Costituzione».

Micaela Bongi, Luciana Cimino, Giuliano Santoro per il manifesto

Massimo Zedda: Cagliari “città della Pace”

Massimo Zedda è candidato sindaco a Cagliari per il Campo largo, lo stesso che ha portato Alessandra Todde alla guida della Sardegna.

Nelle prossime settimane dovrà decidere se aprire o meno alle forze (Azione, +Europa e Renato Soru) che alle regionali si sono presentate come alternativa alla coalizione guidata dai 5 Stelle e dal Pd.

I Progressisti, il partito di cui Zedda è presidente, prima di scegliere il Campo largo sono stati con Soru. Poi la scelta per Todde, motivata dalla necessità di tenere unite le forze progressiste per battere le destre.

I 5S sono freddissimi sull’ipotesi di allargare ora l’alleanza per le comunali a chi, solo due mesi, fa stava da un’altra parte. La porta non è proprio chiusa, ma quasi.

«Non facciamo liste di proscrizione – ha detto Todde alla presentazione della candidatura di Zedda – In altri contesti abbiamo stretto accordi con Azione e con Iv ma ogni contesto è a sé. L’importante è che ci sia coerenza col progetto del Campo largo».

Zedda, che margini vede per un’alleanza più ampia, a Cagliari?

Credo che si debba dialogare. Dialogare in prima battuta con la città, con le persone alle quali stiamo andando a chiedere il voto. Dialogare a partire dalla politica, cioè da una visione complessiva del futuro di Cagliari.

Cagliari ha problemi economici e sociali aperti che il centrodestra, per cinque anni al governo, non solo non ha risolto ma ha pure aggravato. Sanità pubblica in crisi, difficoltà a trovare una casa per fasce larghe di popolazione specie tra i giovani, rallentamento delle dinamiche di sviluppo con un innalzamento preoccupante dei tassi di disoccupazione.

Su questi temi vogliamo dialogare con le persone e siamo disposti anche a confrontarci con le forze di centro e di centrosinistra che al momento sono fuori del Campo largo: partiti e eventuali liste civiche. A livello regionale il Campo largo ha un suo progetto coerente, premiato dagli elettori.

Questa coerenza va mantenuta nell’amministrazione di Cagliari. Dentro i termini generali del progetto e senza togliere nulla alla sua coerenza può essere utile verificare la disponibilità di altre forze ad attuarlo».

Lei ha detto di volere fare di Cagliari una «città della pace». Come pensa di farlo?

Di fronte alle tensioni che sfociano in guerre devastanti, non soltanto in Ucraina e in Medio Oriente, vanno recuperati i fondamenti di una cultura del dialogo e dell’inclusione. L’Italia ha una tradizione importante. La Firenze di Giorgio La Pira negli anni più bui della Guerra fredda a noi sembra un modello anche per il tempo presente.

Un pacifismo intessuto di confronto e di curiosità verso l’altro, fatto di dialogo e di apertura. Un pacifismo concreto che alla logica della guerra, una logica di distruzione, opponga la logica della pacifica convivenza, in una scelta fattiva di sviluppo delle potenzialità di ciascuno, singoli e popoli, nella reciproca collaborazione. Cagliari, baricentro tra Europa e Medio oriente, può svolgere un ruolo non secondario.

Cosa pensa della decisione dell’università di Cagliari di sospendere la collaborazione accademica con gli atenei israeliani?

Penso che si debba distinguere. No alla collaborazione in progetti di natura militare. Sì in tutti gli altri campi. La cultura non può essere chiusura. La cultura deve essere apertura, confronto, scambio.

E dell’autonomia differenziata, che giudizio dà?

Penso sia il contrario di ciò di cui la Sardegna e il Sud hanno bisogno. Alle comunali competerò con una candidata del centrodestra, Alessandra Zedda, designata dalla Lega. Sul tema dell’autonomia io sto dalla parte del pensiero autonomistico che, in Costituzione, si è tradotto nell’autonomia speciale – da migliorare – riconosciuta alla Sardegna. Alessandra Zedda sta con la visione biecamente egoistica di Matteo Salvini».

Costantino Cossu

La grammatica della scuola andrà in pezzi

A scuola, ogni giorno, il tempo segue ritmi propri. Come sosteneva Bergson, quel che conta è la durée, la percezione individuale delle ore che passano, la grammatica personale dei minuti scanditi non dall’orologio, bensì dal nostro stato d’animo. Ed è in questa grammatica che si inseriscono anche le relazioni tra docenti e ragazzi e le interazioni tra gli studenti.

La grammatica è importante. È il modo in cui si organizzano le frasi. È il modo in cui si tiene insieme la lingua che parliamo e, di conseguenza, il mondo che abitiamo, la cultura in cui ci riconosciamo. Qualsiasi insegnante ha esperienza di classi composte da ragazzi stranieri e italiani. Io non faccio eccezione. Ho la fortuna di avere, e di avere avuto, molte studentesse e studenti che vengono dal Bangladesh, dalla Cina, dal Pakistan, dalla Romania, da Capo Verde, dall’Ecuador, dalla Bolivia, dall’Egitto.

La situazione-tipo che mi ritrovo a gestire in questo melting pot di culture è la seguente: uno studente bengalese dice una cosa in bengalese, gli altri studenti bengalesi sghignazzano, uno studente romeno gli risponde in romeno e i romeni sghignazzano, lo studente pakistano dice la sua in urdu e ricominciano a ridere tutti, io capisco che parlano di me e gli chiedo: «Che dite? Eh? Perché ridete? Mi state prendendo in giro? Eh?» loro annuiscono, gli italiani ridono con il pakistano, i romeni e i bengalesi, e ripetono le frasi dette dal primo bengalese con una pronuncia che in inglese (lingua che insegno) se la sognano, insomma, tutti dicono una serie di parole e me incomprensibili, quindi io, dalla terra degli insegnanti di lingue straniere lancio un grido d’aiuto, e chiedo ai miei studenti di insegnarmi il maggior numero di termini possibile per replicare alle loro battute. La grammatica è importante.

Alcuni ragazzi stranieri conoscono l’italiano meglio dei compagni e questo è un dato di fatto. Le più recenti borse di studio per meriti scolastici di cui io abbia memoria, nelle mie classi, sono state assegnate a una studentessa pakistana e a uno studente romeno. La scuola è scambio, comunicazione, cultura e quindi grammatica.

La scuola tiene insieme il mondo civile, lo educa, lo istruisce. La scuola è, forse, uno degli ultimi presidi della democrazia. Noi insegnanti seguiamo – giustamente, doverosamente – corsi di formazione per essere all’altezza del compito che abbiamo scelto. Chiunque viva la scuola ogni giorno si ritrova a danzare all’interno di una grammatica smarginata, che ha tempi e spazi personali ma anche una correttezza formale e umana che siamo chiamati a rispettare e ad applicare. E l’italiano è solo una delle componenti della lingua parlata dall’istruzione pubblica.

Se dobbiamo rinunciare alla presenza degli studenti stranieri, se dobbiamo accettare questo genere di cambiamento, la grammatica della scuola andrà in pezzi e nessuno di noi sarà più in grado di dirsi insegnante senza mentire. In Registro di classe (ripubblicato da Minimum Fax), Sandro Onofri scriveva: «I ragazzi sono ragazzi, e va bene, però pure le cazzate sono cazzate. Allora mi tocca spiegare che essere antirazzisti non è né di destra né di sinistra. È semplicemente da persone intelligenti».

La scuola non è consolante, non conforta, non rassicura. È complicato il rapporto con i ragazzi, con i genitori, con l’istituzione. Nessuno di noi è immune da dubbi, ma è il solo mondo in cui noi insegnanti vogliamo vivere, anche quando ci troviamo di fronte ragazze e ragazzi che non conoscono la nostra lingua ma che contribuiscono a costruire la grammatica della scuola: l’unico abito su misura che gli studenti stranieri possono indossare senza sentirsi diversi.

Gaja Cenciarelli

Esistenze e fenomeni

Il Pensiero Fenomenologico ed Esistenzialista

Non ho mai ben capito cosa sia la fenomenologia. Provo a concentrarmi. Il pensiero fenomenologico si concentra (ecco il frutto della mia concentrazione) sull’esperienza diretta e immediata della realtà, cercando di descrivere e analizzare i fenomeni così come si presentano alla coscienza, senza preconcetti o interpretazioni teoriche predefinite. Questo approccio filosofico, sviluppato da Edmund Husserl e successivamente rielaborato da Martin Heidegger, si propone di indagare la struttura essenziale della coscienza e del mondo come essi si manifestano alla nostra esperienza (quindi coscienza e esperienza sono due cose diverse? non direi proprio).

La fenomenologia si distingue per il suo rigore metodologico nel sottolineare la priorità dell’esperienza fenomenica rispetto alle teorie preconcette. Husserl, considerato il fondatore della fenomenologia, ha sviluppato un metodo rigoroso di riduzione fenomenologica, che consiste nella sospensione temporanea dei giudizi e delle interpretazioni preconcette al fine di cogliere l’essenza pura del fenomeno. Tutto bello. Ma se i fenomeni fossero saldamente connessi alla nostra interpretazione? SE la nostra coscienza fosse parte del fenomeno? Boh, la butto giù così come mi viene.

Dall’altro lato, l’esistenzialismo è un movimento filosofico che pone l’accento sull’individualità, la libertà e la responsabilità dell’essere umano. Emergendo nel XX secolo, l’esistenzialismo si interroga sul significato dell’esistenza umana, sulla possibilità di una conoscenza autentica di sé stessi e sulle implicazioni della libertà individuale nella creazione del proprio destino. Filosofi come Søren Kierkegaard, Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir hanno contribuito in modo significativo a questo movimento.

L’esistenzialismo abbraccia la condizione umana come fondamentalmente ambigua e priva di significato intrinseco. L’individuo si trova costantemente di fronte all’angoscia e all’incertezza derivanti dalla propria libertà e responsabilità nel determinare il proprio destino. Questa libertà, sebbene sia una fonte di possibilità e creatività, comporta anche l’ansia esistenziale di dover scegliere e assumersi le conseguenze delle proprie azioni.

Heidegger, in particolare, ha sviluppato un’interpretazione esistenzialista dell’essere umano nel suo celebre lavoro “Essere e tempo”. Egli ha enfatizzato il concetto di “essere nel mondo” (In-der-Welt-sein), sottolineando l’interconnessione tra l’essere umano e il mondo circostante. Secondo Heidegger, l’essere umano è sempre già immerso nel mondo, e la sua esistenza è caratterizzata dalla cura (Sorge) e dalla preoccupazione (Besorgen) per le proprie possibilità e per il mondo in cui vive.

Sottolineo, in conclusione, come Nietzsche e Heideggere sono giganti seduti sopra le spalle di altri giganti e che il loro pensiero si sviluppa storicamente a partire da Kant e Hegel, per non tornare fino a Descartes, iniziatore del pensiero moderno. C’è una morale in tutto questo? No. Qualcuno dice che ogni filosofo ricomincia da zero il suo percorso, ma io non ci credo. Neppure il neonato parte da zero, bensì da una innata propensione a.

Lo spiega Giorgio Vallortigara. Ma non so se ho capito bene.

Di certo, oggi la scienza può aiutare tantissimo la filosofia a scrollarsi certe domande che ormai hanno risposte ben chiare. Bisogna riformularle. Cercare le attuali e magari provare a sensibilizzare (dare un senso) ai dati che ci piovono addosso, a frotte.

Bibliografia Raccomandata:

  1. Husserl, Edmund. “Ideas: General Introduction to Pure Phenomenology.”
  2. Heidegger, Martin. “Essere e tempo” (“Being and Time”).
  3. Sartre, Jean-Paul. “L’essere e il nulla” (“Being and Nothingness”).
  4. Nietzsche, Friedrich. “Così parlò Zarathustra” (“Thus Spoke Zarathustra”).
  5. Kierkegaard, Søren. “Il concetto di angoscia” (“The Concept of Anxiety”).
  6. de Beauvoir, Simone. “Il secondo sesso” (“The Second Sex”).
  7. Vallortigara, Giorgio. “Il pulcino di Kant”.

Questi testi offrono una panoramica esaustiva dei fondamenti del pensiero fenomenologico ed esistenzialista, così come delle opere chiave di alcuni dei principali filosofi associati a questi movimenti. Vallortigara non è considerato un filosofo. E’ laureato in psicologia sperimentale, con post dottorato in Neurobiologia. Ma credo che le sue ricerche possano dare una spinta innovatrice alla filosofia di domani. E di oggi.

Todde victory. Pensierini nella notte di Valpurga

Todde vince. Nuoro sia la capitale intellettuale e culturale di Sardegna.

La coalizione PD M5S può essere vincente, se Conte si affida con fiducia e convinzione alle donne, quasi tutte più sagge di lui.

Senza i dispettucci di Soru, stanotte avrei dormito di più.

Le figlie si ribellano ai padri. E vincono a prescindere.

La generazione Atreju di cui straparlava Donzelli esaltando Truzzu, è fatta di mezze calzette.

Todde deve la vittoria a Meloni. La scelta di un candidato malvisto persino nella sua città, Cagliari, mica un comune di 900 abitanti, è stata di una arroganza e di una stupidità gigantesche. Oltre che politicamente offensiva.

Sanitá, istruzione, ambiente e mobilità: ora arriviamo noi. Governeremo bene. Oppure tutti a casa.

La Sardegna potrebbe diventare la prima Repubblica autonoma socialista d’Italia. Cannonau e sonno si potenziano a vicenda.

“Meglio un giorno da leone che 100 da pecora”, in Sardegna non funziona. Qui le pecore ci danno da bere e da mangiare. E i leoni li rimbarchiamo sulla Tirrenia al canto dei tenores.

Il più contento della vittoria di Todde è l’ex Presidente. Colpito dalla sindrome di Sansone, qualcuno giura di averlo sentito urlare, davanti a un vitello intero arrosto: muoia Solinas con tutti i filistei del centrodestra.

Maninchedda ringrazia Soru. Non ho capito per che cosa. Del resto, non è riuscito neppure a far perdere Todde.

I fratelli italiani vogliono subito il riconteggio delle schede. Avremo i risultati nel solstizio d’estate.

Amadeus chiede di utilizzare il televoto. Codice 01 Todde, codice 00 Truzzu, codice 007 Soru e Chessa. L’uno vale l’altra, dice Amadeus per questi ultimi.

Chi non salta un truzziano è è.

Truzzu caddutzu.

Caro marxiano, ti sei proprio ridotto male a gioire per queste elezioni. Sfruttati siamo e sfruttati resteremo, col dio profitto a farci da guida e il denaro a incatenarci.

Meglio tornare a Goethe.

In Sardegna il voto si avvicina

In Sardegna mancano quarantacinque giorni alle elezioni regionali (si voterà il 25 febbraio) e ancora il quadro degli schieramenti resta avvolto nell’incertezza. Nel campo del centrodestra, la Lega e il Partito sardo d’azione chiedono la conferma del governatore uscente Christian Solinas. Il resto della coalizione (FdI, Forza Italia e centristi) vogliono il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, fedelissimo di Giorgia Meloni. L’altro ieri un vertice del centrodestra sardo a Cagliari ha stabilito che in candidato sarà Truzzu, ma a maggioranza: Lega e Partito sardo d’azione hanno votato contro. Un summit fissato per ieri pomeriggio a Roma tra Meloni e Salvini per dirimere la controversia è saltato all’ultimo momento. Nessuna nuova data è stata fissata. Impasse, quindi

LA CONFUSIONE, nel centrodestra, è davvero grande. Il partito della premier si fa forte del mutamento degli equilibri all’interno della coalizione e chiede che il dato di fatto sancito dai numeri alle scorse politiche (exploit di FdI e ridimensionamento della Lega) pesi nella definizione delle candidature alle regionali, in Sardegna ma anche nelle quattro regioni in cui nel 2024 si voterà: Abruzzo, Piemonte, Umbria e Molise. Per la Lega è un gioco rischioso. Se passa lo schema Meloni, il pericolo è che molti dei governatori leghisti eletti quando il partito di Salvini era più forte di FdI saltino. Quanto sia grande la preoccupazione lo si capisce dalle dichiarazioni del vicesegretario nazionale della Lega, Andrea Crippa: «Prima delle europee vanno al voto quattro regioni e la Lega è per riconfermare i presidenti uscenti: Solinas in Sardegna, Marsilio in Abruzzo, Bardi in Basilicata e Cirio in Piemonte. Se così non fosse, anche per una sola regione, si riaprirebbero i giochi su tutte le altre regioni. Noi siamo per la continuità, vedremo se altri si prendono la responsabilità di rompere e cercare alternative. La Lega segue le parole di Meloni in conferenza stampa: l’unità del centrodestra è un valore, abbiamo quattro presidenti uscenti che hanno amministrato bene e non c’è alcun motivo per cambiare nomi. Quindi per noi il candidato in Sardegna resta Solinas». Netta e definitiva è la replica della coordinatrice sarda di FdI, Antonella Zedda: «Il candidato ufficiale del centrodestra è Truzzu. Se Lega e Psd’Az vogliono tagliare i ponti, facciano pure».

Insomma, il centrodestra sardo sembra essere a un passo da una clamorosa spaccatura. E come se non bastasse, Alessandra Zedda, consigliera regionale di Forza Italia, ex assessora al lavoro ed ex vice presidente della giunta di Solinas, annuncia che anche lei sarà della partita. «Sono pronta – dice – ho avviato tutti i passi burocratici necessari a presentare la mia candidatura con la lista Anima di Sardegna». «Una corsa da indipendente. Me lo hanno chiesto molti esponenti della società civile», spiega Zedda, che ai primi di novembre del 2022 si era dimessa da entrambi gli incarichi che ricopriva nell’esecutivo guidato da Solinas in polemica per l’immobilismo che lo caratterizzava.

NÉ IL QUADRO È più definito nel centrosinistra. Da una parte, la pentastellata Alessandra Todde, capofila di Pd e M5S più diverse sigle di sinistra e indipendentiste. Dall’altra Renato Soru, che è sceso in campo dopo che Schlein e Conte hanno respinto la proposta di scegliere il candidato alle regionali attraverso le primarie. I due fanno campagne elettorali parallele. Al momento nessuna prospettiva di ricomposizione. A niente è servita la forte pressione unitaria dei Progressisti di Massimo Zedda, per ora comunque ancora schierati con Soru. Alla coalizione guidata dal presidente di Tiscali (che si è dimesso dal Pd) si sono aggiunti la scorsa settimana Rifondazione comunista e Azione (le altre componenti dell’alleanza sono la formazione di Soru, Progetto Sardegna, +Europa e diverse sigle autonomistiche, indipendentiste e civiche di centro). Nei giorni scorsi una trentina di dirigenti del Pd, compresa la segretaria provinciale di Oristano, si sono dimessi dal partito per dare vita a una nuova sigla, Alleanza sarda e democratica, che appoggerà Soru.

Costantino Cossu

Musica oggi

Dopo Arnold Franz Walther Schönberg, ha ancora senso scrivere musica tonale?

Sono convinto di no. Non ha più senso. Così come dopo Picasso e Mirò e Kandinskij (giusto per citarne alcuni) dipingere paesaggi riroducendo fedelmente la “realtà”.

Nel panorama musicale c’è e c’è stato qualche illuso che ha pensato di utilizzare il cinema per sdoganare idee musicali – a mio avviso – vecchie e banali: Morricone, Zimmer, Williams, Rota, Horner, Piovani. Se non siamo nel filone della musica pop, poco ci manca.

Ma ha ancora senso porsi la domanda più sopra, oggi? Nel secolo del consumo per il consumo, della velocità e di internet, del denaro virtuale che dirige la virtualizzazione del tutto, c’è posto per una domanda del genere e per una musica che sia diversa dal sanremo-model (cioè dal modello che concepisce solo musica consolatoria, adatta a soddisfare le esigenze del pubblico di Amadeus?

Comunque, l’unica vera novità del ‘900 che si inserisce nella “tradizione” fatta di ricerca e sperimentazione è, insieme al gruppo di autori della cosiddetta musica contemporanea del secondo ‘900 (ad esempio Luciano Berio), la musica Jazz. Musica che nel corso di un cinquantennio ha come ripercorso le varie tappe evolutive della musica colta occidentale, fino a liberarsi dai vincoli tonali e proporsi come erede spirituale dei compositori dodecafonici.

La “tradizione” del jazz continua, anche se temo che aleggi una sorta di appannamento, di rassegnazione al già detto e di stanca. E questo non solo nel fenomeno dell’improvvisazione (sempre più ripetitiva e soddisfatta di sè), ma spesso nelle strutture, fin troppo codificate.

Che la musica torni a sè stessa, concluderei. Se non fosse che siamo immersi in un divenire che non si lascia prevedere, ma richiede costantemente il nostro “agire”. Più che di un futuro c’è bisogno di un avvenire.

Medicina è magia

Ebbene sì, l’argomento è affascinante, ma mi affaccio ad esso da poco tempo, troppo poco per fare un trattato (^-^) … Così, scrivo un breve post.

E inizio con una sventagliata di domande. C’è una relazione tra la malattia e la società? Voglio dire, è possibile che ogni popolo “scelga” le malattie che lo contraddistinguono? Una relazione con le sue credenze, col modo di vivere, con la sua … arte? Non lo so. E c’è relazione tra “male” e condizioni sociali degi individui?

Se è vero, come mi hanno insegnato, che la struttura economica determina la sovrastruttura e quindi anche il pensiero, può essere che determini anche le forme del disagio di uomini e donne, di cui la malattia è specchio? Esiste un simbolismo della malattia?

E ogni società ha la sua rete di “interpreti” di questo disagio e i suoi metodi per affrontarlo e risolverlo.

Le donne pugliesi tarantate e la musica per liberarle; la puntura dell’argia in Sardegna e il ballo liberatore delle donne, che risale alla civiltà prenuragica; la medicina tradizionale cinese, quella africana e indiana

Io sono l’esempio vivente (scusate la modestia) del legame tra derma e psiche. Da ragazzo sono stato “infettato” (non so se si dica così) da quelle escrescenze della pella chiamate “porri”. All’inizio uno, due, tre; per poi arrivare ad averne più di 50 sul dorso della sola mano sinistra, comparsi nel giro di pochi mesi e durati per diversi anni, di sicuro ben oltre la fine adolescenza, con 3 o 4 che iniziavano a espandersi in quella destra. A suonare la chitarra, per fortuna, ci riuscivo ancora.

L’unico dermatologo che consultai mi propose la bruciatura. Bocciata. Per farla breve, mi sono rivolto a una vecchina di un paese della Sardegna che ha fatto una preghiera. Era agosto. Dopo un mese mi ha fatto sapere che alle prime piogge i porri sarebbero spariti. E così è stato. Alle prime piogge di settembre e in una settimana ho visto sparire sotto i miei occhi, come al rallentatore, i porri, in ordine inverso alla loro comparsa. In una settimana! E ce li avevo anni e anni. C’entra la psiche? C’entra la meccanica quantistica e le sue favolose “leggi” indeterminate? E perché dall’ultimo comparso al primo?

La psiche e il corpo, pur distinti, si influenzano reciprocamente in modi complessi. La teoria psicosomatica suggerisce che lo stato emotivo e mentale di una persona possa avere un impatto significativo sulla sua salute fisica.

L’idea di malattie psicosomatiche suggerisce che stress, ansia e tensioni emotive possano manifestarsi attraverso sintomi fisici. Ad esempio, lo stress cronico potrebbe contribuire a disturbi gastrointestinali o a condizioni cutanee. Questo fenomeno evidenzia la profonda interconnessione tra mente e corpo, sottolineando come gli stati mentali influiscano sul benessere fisico.

La ricerca scientifica ha evidenziato il ruolo del sistema nervoso autonomo e degli ormoni nello stabilire questa connessione. L’esperienza di stress può attivare risposte fisiologiche che impattano su vari organi e sistemi corporei. L’analisi approfondita di questo legame ha portato a un’evoluzione nella gestione delle malattie, integrando approcci psicologici e fisici per promuovere una cura più completa.

Insomma, questa relazione tra psiche e corpo è complessa e multidirezionale. Comprendere questa connessione può aprire nuove vie per trattare le malattie, riconoscendo l’importanza di considerare aspetti emotivi e mentali nella cura della salute complessiva di un individuo.

In conclusione: il titolo che ho dato a questo post attribuisce alla medicina il fascino della magia della conoscenza e del sapere. Siate clementi.

p.s.: per chi fosse interessato ad approfondire il tema dal punto di vista della relazione fra trauma emotivo e malattia – se relazione esiste – segnalo due libri: “La medicina sottosopra. E se Hamer avesse ragone?” di Mambretti e Seraphin; “Il cancro e tutte le cosiddette malattie” di Ryke Geerd Hamer

Questo è dedicato a te, alla tua lucente armonia… sei immensamente Giulia!

Non ho una grande memoria.

Ricordo soltanto le ultime cose.

Una donna che si fa chiamare IL presidente.

Qualcuno, lassù sullo scranno più alto, che ha un figlio indagato (presunto innocente) per violenza sessuale.

Patria. Che affonda le radici nella società patriarcale.

Onore, che certe persone hanno sempre in bocca, pronte a morire e a uccidere per esso.

“Tira fuori le palle” perchè maschi e donne sono tutti figli della società machista.

La guerra per difendere la proprietà.

Le tradizioni da difendere, magari con la violenza.

Il vino italiano (che favorisce il cancro) pubblicizzato come frutto del genio italiano. Del genio italiano? E’ così misero il genio italiano?

Parlamentari aggrediti perchè dicono la verità sull’agricoltura del paese.

Le figlie femmine da sposare perchè un peso per la famiglia. Ancora.

Le donne soldato. Sanno usare le armi e le arti marziali.

L’educazione sessuale e alla affettività vista come un virus da evitare.

I morti in mare perchè il sacro suolo è riservato a chi ha la carta d’identità della nazione.

Giulia. Immensamente Giulia.

Siamo tutte vittime di una tradizione che non vuole morire. Di un mondo becero, ancora imbevuto di patriarcato e violenza, di privilegi e sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E quindi dell’uomo sulla donna.

Addio, Giulia.