Non sono le note musicali in sé e per sé a fare la musica, ma sono le relazioni e i rapporti tra loro, con i ritmi e i tempi che il compositore mette insieme.
Vale lo stesso per il cervello. Cioè sono le sinapsi, gli scambi elettrochimici e in sostanza le relazioni tra neuroni a far funzionare la mente, a fare la nostra “musica”, e non le singole cellule e i vasi capillari che le alimentano. I cervelli di tutti gli animali funzionano allo stesso modo.
In queste ultime centinaia di migliaia d’anni – me li ricordo tutti – il nostro cervello si è plasmato, modificato, strutturato in relazione al mondo esterno naturale e a quello artificiale che abbiamo costruito, a quello che abbiamo imparato e ai concetti che abbiamo inventato. Abbiamo avuto la Storia, le Scienze, la Filosofia, l’Arte e la Poesia. Ci siamo evoluti, almeno in media, con rapide inversioni e singole involuzioni come i Netanyahu e i Salvini, i Putin e i La Russa.
Il cervello di Homo Sapiens, oltre che creare musica e, ad esempio, inventare nuova matematica, fa un’altra cosa, che forse (e sottolineo il forse) le altre specie non fanno: riflettere su sé stesso. E lo fa almeno in due modi: nell’intimo del proprio pensiero e/o studiando il “come” funziona la mente, tutta la mente: emozioni, memoria, apprendimento, ragionamento ecc.
Lo studio del cervello e del sistema nervoso si è sviluppato nel XX secolo, con Santiago Ramón y Cajal, con le tecniche di colorazione al microscopio e con la sua teoria neuronale.
Un altro neuroscienziato di rilievo è stato Charles Sherrington, un fisiologo britannico del XX secolo, noto per i suoi studi sui riflessi spinali e per il suo lavoro sulla sinapsi nervosa. E poi Eric Kandel, Rita Levi-Montalcini, David Hubel e Torsten Wiesel, solo per citarne alcuni.
Lo stato attuale dell’arte nel campo delle neuroscienze è estremamente ricco e in continua evoluzione. Ci sono, tra gli altri, Karl Deisseroth, noto per il suo lavoro rivoluzionario sull’ottogenetica e l’optogenetica. Helen Mayberg, nota per la sua ricerca sui circuiti cerebrali coinvolti nella depressione. Ed Boyden, per lo sviluppo di nuove tecniche per studiare l’attività cerebrale. Christof Koch, per il suo contributo alla comprensione della coscienza e della percezione attraverso la neuroscienza. Lisa Genova, per la sua capacità di rendere accessibili i concetti complessi del cervello attraverso la narrativa. David Eagleman, per il suo lavoro sulla plasticità cerebrale e la percezione sensoriale, nonché per la divulgazione scientifica. Adrian Owen, per l’uso delle neuroimmagini nella comunicazione con pazienti in stato vegetativo. E c’è poi – “last but not least” – Giorgio Vallortigara, che è un rinomato neuroscienziato italiano. È noto soprattutto per i suoi contributi nello studio della lateralizzazione cerebrale negli animali, in particolare nei polli e in altri uccelli. I suoi studi hanno evidenziato come il cervello degli animali possa mostrare asimmetrie funzionali, influenzando comportamenti come la scelta del lato in cui deporre le uova o la preferenza nel compiere determinate attività. Vallortigara ha anche contribuito alla comprensione delle basi neurali dell’orientamento spaziale e della navigazione. Il suo lavoro ha avuto un impatto significativo nel campo della neuroetologia e della neuroscienza comparativa.
E dopo questa vertigine di nomi, ecco alcuni dei principali punti salienti delle neuroscienze:
- Tecnologie di imaging cerebrale avanzate: Le tecniche di imaging cerebrale come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la tomografia a emissione di positroni (PET), la magnetoencefalografia (MEG) e la tomografia ad emissione di fotoni singoli (SPECT) hanno rivoluzionato il nostro modo di osservare l’attività cerebrale. Questi strumenti consentono di mappare in modo non invasivo l’attività cerebrale e di studiare le connessioni neurali.
- Plasticità cerebrale: La plasticità cerebrale, la capacità del cervello di modificare la sua struttura e la sua funzione in risposta all’esperienza, rimane un argomento centrale nelle neuroscienze. La comprensione di come avvengono questi cambiamenti è cruciale per lo sviluppo di nuove terapie per le lesioni cerebrali, le malattie neurodegenerative e altri disturbi cerebrali.
- Connessioni neurali e reti cerebrali: Gli studi sulle connessioni neurali e sulle reti cerebrali stanno rivelando come diverse regioni del cervello collaborano per svolgere compiti cognitivi e comportamentali complessi. Questo approccio di neuroimaging a livello di rete sta trasformando la nostra comprensione della mente e del cervello.
- Neuroscienze cognitive e comportamentali: Le neuroscienze cognitive e comportamentali esplorano le basi neurali dei processi mentali superiori, come l’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio e il pensiero. Questo campo si avvale di una combinazione di metodi comportamentali, neuroimaging e modellizzazione computazionale.
- Neurobiologia molecolare e cellulare: Gli studi sulla neurobiologia molecolare e cellulare cercano di comprendere i meccanismi molecolari e cellulari alla base del funzionamento del cervello. Questo lavoro ha importanti implicazioni per la comprensione delle malattie neurologiche e per lo sviluppo di nuove terapie.
- Neurotecnologie: Le neurotecnologie, come i neuroprotesi, le interfacce cervello-computer e la stimolazione cerebrale non invasiva, stanno emergendo come nuovi strumenti per esplorare e modulare l’attività cerebrale. Queste tecnologie hanno anche il potenziale di rivoluzionare il trattamento di malattie neurologiche e psichiatriche.
Il punto per me più affascinante è questo nostro, diciamo, sdoppiamento di cui ora accenno. Nessuno di noi ha bisogno di istruzioni particolari per amare, emozionarsi, sentirsi allegro, meditare, godere della grande letteratura, leggere, studiare, apprendere, migliorarci, mangiare, riconoscere un volto umano, camminare, incazzarsi, ascoltare i Popol Vuh o Mozart, Beethoven o Bruno Vespa, il ronzio delle api o il canto delle cicale di Heather Parisi . Ci sono tantissime capacità che condividiamo con il resto del mondo animale e le mettiamo a frutto. I nostri neuroni lavorano e, nel maggior parte dei casi, con le eccezioni di cui prima e disfunzioni a parte, lavorano bene. Lavorano a insaputa del nostro “io” cosciente, persino quando dobbiamo scegliere se a un bivio dobbiamo andare a destra o a sinistra: lo fanno ben prima di quando crediamo di potere esercitare il libero arbitrio (per fortuna siamo sempre noi, anche inconsciamente, a decidere).
Insomma viviamo pienamente.
E poi c’è l’altra parte del Noi, quella che ha cominciato a studiare e a indagare sul come e sul perché il cervello funziona.
Insomma è un’autocoscienza al quadrato! Uno specchio in cui ci osserviamo vivere vivendo, scoprendo delle cose che ci meravigliano e che ci stanno riportando con i piedi per terra. In questa condizione all’interno del Regno animale, dove nessuna specie regna geneticamente sulle altre e dove noi, specializzati nella ricerca libera, nella scienza che non dovrebbe avere l’ansia di ottenre risultati dalle ricadute immediatamente economiche, senza il fiato sul collo delle multinazionali, continuiamo a guardarci nello specchio, chi scientificamente, chi filosoficamente, chi religiosamente.
Questa è la melodia che puà dare il “la” ai progressi effettivi della vita sulla Terra.
E attenzione a non rompere lo specchio, altrimento sono 7 anni di disgrazie.