Le avventure di Maurì La Palma. Radici

Santi numi, devo iniziare la storia ed è tardi! La candela qui sulla scrivania illumina a malapena il foglio bianco, la penna d’oca e il calamaio che utilizzo da quando frequentavo la scuola elementare.

Non so da dove cominciare. Mi piacerebbe trovare parole semplici, senza grandi ambizioni, ma quelle giuste per raccontare la sua storia, che non è normale ma neppure super, e in modo che tutti capiscano subito, al volo.

Ma la semplicità non è per tutti. La semplicità è difficile, presuppone conoscenza e padronanza. Qualità che io non ho, o che forse non ho ancora scoperto di avere.

Mi sono chiesto spesso se in lui (intendo in Maurì La Palma) ci possa essere qualcosa di interessante per il mondo, qualcosa che vada oltre la sua individualità e che valga la pena di raccontare e leggere. Sarà il tempo a dire se le sue avventure, tutte vere, avranno interessato qualcuno oltre me.

Allora, eccolo qui Maurì La Palma, ancora un bambino di 7 anni, alto per la sua età, capelli biondi ricci, solitario e riflessivo. Abita con la nonna in un vecchio palazzo del centro che si affaccia sulla bella piazza di salici, lecci e ficus larghi e ombrosi, con panchine in legno dietro siepi di buganvillea. Considerava quella piazza il suo mondo: gli piaceva trascorrere certe mattine primaverili a seguire le formiche fin dentro i cunicoli dei loro rifugi, dove accumulavano orologi e bracciali d’oro, giuggiole e coriandoli colorati. Entrare nei labirinti dei formicai, tutti tra loro collegati, non era semplice per lui che era alto circa un metro e trenta: come ho già detto la semplicità non è per tutti, eppure Maurì ci riusciva, senza sapere bene come. Forse i tanti libri che aveva letto sulla vita degli animali, formiche comprese, lo aiutavano a immaginarsi le tane tanto bene da scambiare il pensiero con la realtà. Amava seguire anche i passerotti fin dentro i nidi tra le fronde intricate delle siepi, dove i piccoli nati imparavano a scrivere il cinguettio che avrebbe permesso loro, nei giorni a venire, di navigare per l’aria immobile di maggio. Riusciva persino ad appollaiarsi in qualche nido di tortora fraternizzando con i piccoli.

Un giorno Maurì decise di rimanere seduto su una panchina per tutta la vita, sperando che la nonna o i passanti gli portassero da bere e da mangiare. Ma nessuno si accorse della sua mancanza e Maurì dovette trovare da solo una soluzione. Riflettendo, il tempo passava e fu così che gli spuntarono dalle piante dei piedi le radici di un carrubo. I suoi pori impararono la sintesi clorofilliana che come spiega la fisica quantistica riesce a trasportare in meno di un milionesimo di attimo (cioè un attimo diviso un milione di volte) l’energia del sole in tutto il corpo. Lentamente le dita diventavano rami e da lì presero a spuntare foglie e altri rami, e Maurì La Palma, che forse aveva nel proprio nome l’essenza del suo finale, iniziò un’altra esistenza e di lui non si sentì parlare mai più, o almeno fino a che la nonna non andò a svegliarlo, se non sotto altre forme che il seguito vi racconterà.



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